Rassegna stampa


Il Venerdì di Repubblica,

Conosco le banche eppure le difendo

Marco Morelli, già ai vertici di Intesa San Paolo e Monte dei Paschi, dice che in questa fase due non stanno facendo male. Anche se i manager dovrebbero essere un po' più umani.

"Sarà dura, nessuno sa bene che succederà davvero. Però sono convinto che una cosa cambierà in positivo e riguarda il mondo del lavoro, in particolare per i giovani che si erano appena affacciati prima della pandemia o di chi inizierà il suo percorso da ora in poi: ci sarà meno antagonismo, meno protagonismo, la scala gerarchica conterà di meno rispetto al passato. Il lavoro sarà più inclusivo e condiviso". Marco Morelli, 58 anni, insegna Economia e Finanza alla Luiss di Roma ed ha guidato istituzioni finanziarie come Intesa SanPaolo (direttore generale dal 2010 al 2012) e Monte dei Paschi di Siena (amministratore delegato tra il 2016 e il maggio di quest'anno quando si è dimesso).
Un economista e un top-manager, tanto per usare classificazioni canoniche. Ma è anche autore di un libro Capi, colleghi, carriere questi sconosciuti, (Gribaudo/Feltrinelli. Pp. 192, euro 14,90), che tra dirigenti "coccodrillo" o "visionari", colleghi "tappetino" o "vampiro", consegna un vademecum su come relazionarsi con gli altri in azienda. "Ho quattro figli, tutti entrati da poco nel mondo del lavoro, e ho voluto parlare soprattutto a quelli della loro età", racconta Morelli condividendo la preoccupazione per il futuro dei nostri ragazzi, che si aggiunge a quella per "un'emergenza sanitaria inaudita".

Cosa ha detto ai suoi figli sul dopo Covid-19?
"Che ci troviamo in un momento di grande discontinuità. Fino a ieri nelle aziende, piccole o grandi che fossero, chi aveva un ruolo di responsabilità lo esercitava con dinamiche codificate, direi quasi immutabili. D'ora in poi non conterà la capacità di voler essere a tutti i costi un protagonista singolo, ma di far parte di un mondo che sta cambiando".

Oggi le banche sono il volano di molti provvedimenti del governo sulla ripresa, dai prestiti con garanzia statale, alle anticipazioni degli ammortizzatori sociali, alle moratorie sui mutui. Ma abbondano lentezze e farraginosità: colpa delle banche o della burocrazia?
"Mi limito a osservare come, in momenti come questo, chi occupa posizioni di governo a livello centrale o locale meriti il rispetto di tutti. A prescindere. Ma analogo rispetto va al lavoro svolto dalle banche, dalle migliaia di dipendenti che sono stati fisicamente in prima linea, nelle filiali e nelle agenzie aperte dovendo comunque far fronte a un quadro normativo in continua evoluzione. E che continueranno a farlo per consentire la ripartenza di famiglie, aziende, artigiani, commercianti".

Difende gli istituti di credito e non potrebbe essere altrimenti visto che ha guidato la più antica banca del mondo, il Monte dei Paschi di Siena. Resta il fatto che in Italia esiste una sfiducia endemica dei risparmiatori nei confronti di banchieri e finanza, legittimata oltretutto dagli scandali del recente passato. Come se ne esce?
"Investendo molto in una formazione più profonda e mirata di tutto il personale per metterlo nelle condizioni di trasmettere i messaggi giusti e dare le spiegazioni adeguate ai clienti. Chi è a contatto giornaliero con i clienti dovrà essere il vero protagonista della svolta verso un'educazione finanziaria dei risparmiatori più puntuale e costante, sottraendoli al mare magnum delle informazioni scorrette che circolano soprattutto nella rete. A chi governa le aziende spetta il compito di mettere tanti colleghi presenti sul territorio nella posizione di poter adempiere a questo importante compito attraverso una formazione innovativa, più dinamica e profonda rispetto a quella più tradizionale adottata oggi".

Risparmiatori e sportelli, d'accordo. Ma i manager? Non crede che il baricentro degli istituti di credito si sia troppo sbilanciato dal ruolo di sostegno per imprese e famiglie a quello di massimizzazione dei ricavi e remunerazione degli azionisti? Insomma, quel "virus" della finanziarizzazione che ha contagiato in questi anni anche buona parte delle grandi imprese manifatturiere, spesso trasformandone l'identità.
"La banca ha indubbiamente un ruolo "sociale" che va oltre quello di conseguire ricavi e redditività. Ma è un'azienda che deve generare ritorni economici sostenibili per i suoi dipendenti, clienti, obbligazionisti e azionisti all'interno di un ambito regolamentare e di controlli sempre più complesso ed articolato. Se non riesce a farlo, va velocemente fuori mercato".

Insisto: il ruolo dei manager?
"Questo è un tema cosmico (sorride, ndr). Il manager non può più restare chiuso nella sua stanza e parlare con venti, trenta persone al massimo. Sarà essenziale accorciare le gerarchie, le distanze. Avere contatti diretti e costanti con chi è nelle filiali, sul territorio e parlare con tutti. Il contatto umano è sempre stato fondamentale e d'ora in poi, come ci ha dimostrato questa pandemia, sarà ancora più prezioso".

Anche lei pensa che dalle grandi crisi possano nascere grandi occasioni? Sono in molti ad affermarlo, ma sembra più che altro un incitamento all'ottimismo della volontà...
"Guardi, lascerei da parte le frasi fatte, della serie "ce la faremo" o "ne usciremo migliori": il periodo di aggiustamento che ci attende sarà lungo e tortuoso. E non penso solo all'economia. Parlo di azienda, famiglia, contesto sociale: dai momenti di crisi si esce condividendo in modo sistematico strategie, iniziative e, soprattutto, comportamenti".

Per il nostro Paese si prefigura una nuova, pesante recensione. C'è chi azzarda addirittura una depressione economica paragonabile a quella globale tra le due guerre. Quando e come rialzeremo la testa?
"L'Italia negli ultimi 40 anni ha sempre avuto dinamiche di crescita più lente rispetto agli altri Paesi europei di simili dimensioni. Immagino succederà lo stesso con il dopo coronavirus, un po' per le condizioni economiche preesistenti, un po' perché il nostro è un sistema produttivo basato sulle piccole e  medie imprese. Servirebbe un approccio mirato alle singole filiere produttive, sorretto da un quadro normativo e da politiche industriali molto ben declinate. Penso, ad esempio, al turismo che andrebbe messo in condizione di ripartire velocemente e tornare ad attrarre flussi importanti dall'estero".

In Italia torna a soffiare il vento dello statalismo, un altro mantra ricorrente nei periodi di crisi. Condivide l'idea di una presenza pubblica diretta nelle aziende in difficoltà?
"Lo condivido nella misura in cui sia un intervento di sostegno temporaneo ed il management incaricato sia veramente indipendente e possa lavorare solo nell'interesse dell'azienda, dei suoi dipendenti e dei suoi clienti".

Marco Patucchi